Geni, ingegno e genii: la nascita dell’arte biotech

28 marzo 2007
Relatore: Loretta Borrelli
Moderatori: Cristina Trivellin, Morena Ghilardi
Studio D’Ars, Via Sant’Agnese 12/8, Milano

É difficile stabilire quali siano le origini del rapporto tra scienza ed arte, non solo sotto il profilo dell’attitudine critica e analitica dell’arte nei confronti della scienza, ma soprattutto per quello che riguarda l’utilizzo di conoscenze e strumenti scientifici per la creazione artistica.
Si potrebbe ricorrere, per analogia, alla complessità del significato della parola greca τέχνη e alle differenti implicazioni che essa ha assunto in ambito platonico. Correntemente tradotta con la parola arte, non descrive solo una creatività libera da regole, né la capacità di fare qualcosa secondo procedimenti prestabiliti, ma rappresenta, piuttosto, la sublimazione del sapere per la diffusione della conoscenza, in cui ricerca ed apprendimento sono legati in un processo in continuo divenire. Un concetto che bene si lega alle finalità di base dell’arte genetica, biotech o bio art: una delle forme di arte contemporanea che tende a legare la sperimentazione scientifica all’esperienza artistica. Gli artisti biotech collaborano strettamente con ricercatori e scienziati. Nelle opere prodotte il medium utilizzato coincide con il soggetto delle loro speculazioni teoriche. Jens Hauser curatore della mostra L’ArtBiotech (Le Lieu Unique, Nantes, Francia, 2003) afferma: ”Lo scopo della arte biotech è sollevare il velo su quanto accade all’interno dei laboratori di genetica per interrogarsi sulle tecnologie e imparare a utilizzarle”.
Gli approcci alla materia sono eterogenei. Non si cerca solamente di descrivere criticamente i progressi della biotecnologia, ma anche di introdurre il materiale biologico come nuovo strumento dell’arte. Questo è quanto afferma Marta de Menezes (Lisbona, Portogallo,1975). Nell’opera Nature? (Ars Electronica 2000, Linz, Austria) l’artista portoghese esplora le possibilità e i limiti dei sistemi biologici nel creare pattern differenti.
L’artista modifica il disegno di una delle ali di un determinato tipo di farfalle alterando i livelli di proteine nel processo di sviluppo dell’insetto, mettendo così in evidenza le differenza tra segni grafici naturali e quelli creati tramite l’intervento umano. L’autrice stessa afferma: “In Nature? ho esplorato non solo il confine tra arte e scienza ma anche tra naturale ed artificiale”. Crea segni grafici mai esistiti in natura che non si trasmettono geneticamente da insetto a insetto ma scompaiono con la morte della farfalla.
La ricerca di una espressione grafica ed estetica in ambito genetico è l’obbiettivo anche del lavoro dell’artista americano George Gessert (Milwaukee, Wisconsin, USA, 1944). Ex pittore e oggi bioartista specializzato nell’ibridazione dei fiori, crea piante che rispondono al suo concetto di bellezza. Lo stesso Gessert afferma: ”incrocio fiori perché ritengo che questa pratica sia una delle forme più immediate di accesso alla bellezza. Colore, forma consistenza e profumo esistono nella loro massima espressione soltanto negli organismi viventi”.
Allo stesso tempo queste opere offrono uno spunto di riflessione sull’influenza delle preferenze estetiche sull’evoluzione. Evocando la minaccia di un’eugenetica che risponda ai dettami del gusto comune e alle esigenze dei mercati, si fa leva sulle diffuse paure legate allo sviluppo della manipolazione genetica. Il mito ancestrale del controllo della vita ritorna evidente nei lavori del collettivo australiano SymbioticA. Le loro opere sono state spesso definite wet art, arte umida, perché intervengono direttamente su materiale organico: quanto di più lontano dall’idea di immateriale. Per le loro sculture semi-viventi utilizzano principalmente tessuti creati in laboratorio formati da aggregazioni di cellule viventi. È il caso di Pig Wings (Adelaide, Biennale of Australian Art 2002)o Semi-living Worry Dolls (Linz, Ars Electronica 2000); “Ali di maiale”, è stata realizzata creando in laboratorio piccole ali partendo da cellule staminali di midollo osseo prelevate da maiali; le “Bambole scacciapensieri semi-viventi” sono ottenute legando con un filo da sutura chirurgico diversi brandelli di tessuto coltivato in laboratorio.
Riguardo questo tipo di espressione artistica il critico d’arte Gianni Romano afferma: “l’arte biotech si inserisce nel contesto attuale di amore/odio per le tecnologie, fa presa sui timori provocati dall’accelerazione che il progresso tecnologico ha conosciuto negli ultimi 50 anni. Il suo valore è prevalentemente sociologico, mentre dal punto di vista meramente estetico questi artisti non hanno molto da dire”.
Prescindendo dalla ricerca di un senso estetico del bello in opere prevalentemente costituite da materiale organico, i bioartisti manifestano una personale e riconoscibile poetica che ha delle importanti implicazioni non solo in ambito sociale ma anche in quello filosofico. Lo sviluppo tecnologico è la condizione iniziale che ha permesso la nascita di una nuova arte, che fa uso di materiali nuovi perché inediti e inusuali, ma paradossalmente, come fa notare Joe Davis, più vecchi della terra.
Per questo è di fondamentale importanza chiedersi quale sia effettivamente il nuovo medium utilizzato, quali siano i filtri attraverso cui passa la ricerca scientifica e quella artistica ad essa strettamente correlata.
Il primo a rendersi conto delle straordinarie potenzialità insite, in particolare, nella molecola di DNA, prima dell’avvio del Progetto Genoma Umano, è stato l’artista americano Joe Davis (USA, 1953), tra i fondatori del movimento biotech. L’artista manifesta nelle sue opere un particolare interesse per il significato simbolico insito nel codice genetico chenelle sue opere è trattato come una catena di informazioni. Non a caso parla di “codice”.
Le strutture molecolari che ottiene attraverso un sequenziamento artistico del DNA non hanno alcuna corrispondenza con la realtà fisica o con le leggi della natura. Le basi azotate delle molecole di acido deossiribonucleico vengono utilizzate come tasselli per la composizione di messaggi la cui struttura è influenzata dalle forme di codifica informatica.
La prima di queste molecole artistiche è Microvenus (1986, esposta ad Ars Electronica, 2000). Il messaggio che l’autore ha scelto di codificare era destinato ad una intelligenza extraterrestre. Contiene un icona visiva che rappresenta gli organi genitali femminili, e che, per un’insolita coincidenza, è simile ad un antica runa germanica simbolo della divinità femminile della Terra. Davis sequenzia le basi del DNA del batterio Escherichia Coli inserendo, oltre alle informazioni grafiche, anche quelle di decodifica. L’immagine viene trasformata in codice elaborandola sotto forma di matrice numerica bidimensionale, con delle variazioni lineari anche del peso molecolare.
La molecola Microvenus può, così, essere decodificata in un modello scultoreo, dato dalla corrispondenza con i volumi tridimensionali occupati dalle strutture degli acidi nucleici.
L’ opera mette in evidenza come il materiale organico possa essere utilizzato e analizzato sulla base di concezioni diverse da quelle relative alle funzionalità biologiche. Le molecole create non presentano alcuna qualità attinente all’idea di controllo della vita. Tuttavia ci propongono un rappresentazione del DNA in linea con la cultura tecnologica in cerca di continue corrispondenze con un modello di riduzione del tutto ad informazione.
Eduoardo Kac (Rio de Janeiro, Brasile, 1962) si occupa sia dell’aspetto etico che di quello linguistico delle scienze genetiche. Con il progetto GFP Rabbit che ha condotto alla nascita del coniglio transgenico Alba, ha cercato di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica giocando sulla diffuse paure connesse alla nascita di una Chimera, animale mai esistito in natura. In questo caso l’artista lavora sul ruolo biologico della manipolazione genetica per sollevare problematiche di natura sociologica. Prima di questa esperienza, però, esordisce come artista biotech con un’opera che rimanda all’esperienza di Davis, Genesis.
L’elemento chiave dell’opera era un gene d’artista, creato sinteticamente, tramite la traduzione di un passo del libro della Genesi, “Let man have dominion over the fish of the sea, and over the fowl of the air, and over every living thing that moves upon the earth” in codice Morse poi tradotto in codice genetico e inserito nel genoma di alcuni batteri. La scelta del codice Morse ha un valore simbolico in quanto si tratta del linguaggio che ha segnato l’inizio dell’era dell’informazione e della comunicazione globale. I batteri, così modificati, furono esposti in una galleria d’arte. Grazie ad un’apparecchiatura controllata dal pubblico via Internet, era possibile stimolare un’ulteriore mutazione biologica attraverso l’accensione di una luce ultravioletta. È indubbio il significato simbolico dell’intera operazione, attraverso il gesto di interazione più semplice della comunicazione online, un qualsiasi utente della rete poteva produrre una modifica e contemporaneamente attuare in concreto la frase che lo giustifica come dominatore della natura, senza, tuttavia, poter prevedere il risultato del suo intervento. Questa allegoria della pulsione umana verso la manipolazione della vita per mezzo della tecnologia pone ai singoli utenti molteplici questioni etiche che nascono dalla decisione di cliccare o non cliccare (to click or not to click).

Kac fa luce sin dalle sue prime opere sullo stretto legame tra mezzi tecnologici e manipolazione genetica. In questa opera in particolare utilizza il materiale genetico come trama per comporre un testo con una forte valenza filosofica. Il mezzo tecnologico è vissuto come strumento di diffusione delle potenzialità della scienza e complessivamente l’opera rimane incentrata sul tema dello sviluppo tecnologico e sul suo impatto sociale. Come nell’esperienza di The Eighth Day, Kac, rievocando un ipotetico ottavo giorno della creazione, mette drasticamente in discussione il ruolo della genetica enfatizzando invece gli aspetti etici, sociali e storici della tecnologia applicata all’organico. La fine del ventesimo secolo è stata caratterizzata da un elevato interesse mediatico per la biologia molecolare. Il completamento dell’intera sequenza del genoma umano, l’individuazione della funzione di diversi geni, lo sviluppo di coltivazioni transgeniche e la clonazione di animali sono stati gli eventi che hanno segnato lo sviluppo di una coscienza sociale sulle implicazioni delle nuove biotecnologie. La genetica non è più dominio esclusivo della ricerca scientifica, ma diventa oggetto di dibattito filosofico e politico. In questa atmosfera il sistema dell’arte ha sentito la necessità di invadere i laboratori e influenzare l’opinione pubblica.