CANTIERE CREATIVO

PER LA NEW MEDIA ART

Sull’uso del corpo come strumento cognitivo e sul ruolo delle protesi nell’estensione della nostra coscienza

All’interno del contesto delle scienze cognitive si sta verificando un crescente interesse riguardo alla possibilità che l’esperienza corporale possa determinare non solo i processi cognitivi vincolati a padroneggiare le contingenze sensomotorie ma bensì anche le capacità cognitive superiori come l’immaginazione, la memoria implicita, la memoria di lavoro, il ragionamento ed il problem solving.
Tale ipotesi, che prende il nome di “embodied cognition” sostiene che il corpo, attraverso la sue capacità sensoriali, manipolative e kinestetiche, sia l’elemento che costruisce la nostra relazione con il mondo, determinando i processi alla base della costruzione del significato e della conoscenza.
L’idea che i pensieri, concetti e modelli mentali siano influenzati e determinati dal ruolo delle strutture e degli stati fisici, ribalta il tradizionale approccio dualista cartesiano e porta alla luce una concezione del corpo come strumento cognitivo.

Tale area di ricerca offre indubbiamente una prospettiva interessante a partire dalla quale pensare il ruolo della protesi tecnologica e del suo uso in un contesto artistico.
Senza voler affrontare il complesso compito di ripercorrere un retrospettiva sull’uso della protesi nell’arte contemporanea mi piacerebbe iniziare a delineare alcune linee guida per poter strutturare il mio pensiero.
Non è certo un’affermazione innovativa l’idea che ogni tecnologia rappresenti un’estensione dei nostri sensi ma, in tale contesto è interessante pensare le diverse direzioni in cui la tecnologia amplifica, cambia e riprogramma la nostra percezione e la nostra relazione con l’ambiente.

Negli ultimi decenni l’uso protesico della tecnologia ha aperto gli spazi per nuovi programmi e nuovi piani d’azione, per i quali la finalità non è più rappresentata dalla volontarietà del controllo sull’esterno ma si orienta all’esplorazione del corpo ed all’uso della tecno-protesi come strumento per ampliare la nostra conoscenza riguardo a noi stessi o all’ambiente.

Le sperimentazioni artistiche che si sviluppano attorno all’idea di coscienza corporea assumono direzioni differenti ma complementari. Queste si muovono da un lato verso un uso della protesi come strumento atto ad aumentare la consapevolezza riguardo al contesto sociale e ambientale e dall’altro come mezzo per ampliare la conoscenza degli stati emozionali, fisiologici e fisici dell’individuo.

Nel primo caso la percezione fisica e tattile si trasforma in strumento di comunicazione, allo stesso tempo destinatario del contenuto e superficie sulla quale inscrivere il messaggio.
Il dialogo diretto con il corpo – forse riflesso di un momento in cui l’impatto della cultura visuale ha gradualmente indebolito la pregnanza di altre forme comunicative- si allontana dall’uso del simbolo e della rappresentazione come strumenti di comunicazione e trasforma la fisicitá nel recettore diretto per l’accesso alla coscienza.
Utilizzando i sensi “dimenticati” (tatto, propriocezione) artisti come Gordan Savicic in “Constrain city”, Sonia Cillari in “Sensitive to pleasure” e Marceli Antunez Roca in “Epizoo” esplorano le relazioni del corpo dell’artista con l’ambiente urbano, con la produzione artistica e con gli spettatori.
La protesi robotica , proporzionando un feedback sensoriale a situazioni contestuali, diventa uno strumento attraverso il quale il sociale si “tangibilizza” e esercita un impatto diretto sull’esperienza fisica.

Allo stesso tempo si sta verificando un crescente interesse verso opere che, utilizzando un’interazione di tipo più o meno volontario, si orientano a utilizzare la tecnologia come strumento per ampliare la consapevolezza che abbiamo di noi stessi, arrivando a farci accedere alla conoscenza inscritta nel nostro corpo.
In questa linea si situa il lavoro di Paola Tognazzi Wearable_SuperNow che producendo un feedback sonoro al movimento fisico di determinate parti del corpo, lavora sullo sviluppo di una coscienza motrice e propriocettiva.
Un’altro esempio proviene dall’ibridazione tra videogame e arte nel gioco “The mexican sandoff” di Tim Devine, in cui grazie all’uso di caschi EEG un videogame shooter si trasforma in una misura d’autocontrollo poiché il personaggio può sparare solo quando è sufficientemente rilassato.

Entrambi i tipi d’approccio appellano ad un’esplorazione della relazione tra coscienza esplicita ed implicita, tra consapevolezza diretta ed indiretta, tra conoscenza formale -espressa attraverso il linguaggio e la rappresentazione- e conoscenza corporale.
In tale contesto è interessante citare uno studio condotto da Goldin-Meadow che dimostra che in molti casi alcuni tipi di conoscenza – come quella logico-matematica- siano presenti in forma implicita nel corpo e nei gesti molto prima di essere disponibili a livello esplicito per la comunicazione formale.

Le opere descritte previamente, inserendosi nel gap tra coscienza esplicita e implicita, aprono la riflessione sull’uso della tecnologia come strumento catalizzatore di nuovi tipi di processi di conoscenza.
Ma in tale contesto come è possibile considerare la protesi?
Malafouris, partendo dalla descrizione dei dispositivi di memoria exografica, offre un modello di cognizione distribuita che prevede l’inclusione degli artefatti materiali all’interno dei processi cognitivi.
Con tale approccio egli pretende questionare la separazione tra cultura materiale e architettura cognitiva, analizzando la forma in cui i mezzi e le tecnologie esterne coprano un ruolo determinante nel modificare la natura delle esperienze e nell’influenzare la formazione dei modelli mentali attraverso i quali costruiamo la nostra interpretazione della realtà.
Si apre quindi uno spazio per cui la protesi diventa uno strumento interiorizzato ed i nostri processi cognitivi si distribuiscono su un numero di artefatti sempre più ampio.
Pensare quindi la protesi come un’estensione incorporata, uno strumento sul quale situare informazioni apre scenari allo stesso tempo accattivanti ed inquietanti rispetto al futuro del post-umano.

 

BIBLIOGRAFIA

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